Storia del vino: antichi romani

IL VINO NEI SECOLI: antichi Romani

di Marco Rossi

Bene. Siamo arrivati ormai al tempo dei romani. Dimenticavo di dirvi che il ragazzo, fin troppo informato per la sua età, era Orazio, poeta tra i massimi dell’antica Roma. Lo ritroveremo più avanti, perché ha ancora alcune cose da aggiungere.
Devo solo aggiungere qualcosa riguardo a ciò che riporta l’Antico Testamento, e cioè che a quei tempi in Palestina, terra molto vicina alla Mesopotamia, il vino era già un importante prodotto commerciale ed era presente sul mercato in diverse forme: vino nuovo, vino forte, vino mescolato a mosto e vino speziato.
E con l’Antico Testamento chiudo qui. Non vorrei mai convertirvi!
Siete stanchi? No? Meno male, perché mancano ancora 2000 anni. Se volete, vi condono la pena.
Passando per le terre dei loro primi vicini, arriveremo a casa dei romani. Come spesso si dice: un nome, un destino. Nell’antichità, il nome della nostra penisola era nientepopòdimenoche Enotria. Questo la dice lunga sul destino degli italiani: tutti ubriaconi! Prima dei romani degni di questo nome, c’erano gli etruschi. Ora: tutti sappiamo che degli etruschi non sappiamo nulla, e c’è un motivo. Nessuno è mai riuscito a decifrare la loro scrittura. E la scrittura è il pozzo principale al quale attingere informazioni su un popolo scomparso. Ci sono numerose teorie sul motivo per cui questa scrittura sia così incomprensibile. Noi ne abbiamo formulata una tutta nostra. Allora: prendete un uomo che non abbia assunto vino e fatelo scrivere. Bene, a meno che non sia un lappone o un analfabeta, dovremmo poter comprendere, se non il senso, almeno i segni. Quindi fatelo bere, diciamo, una bottiglia di Ortrugo, diciamo, del Podere Casale e chiedetegli di scrivere qualcosa: incomprensibile! Ecco perché non siamo riusciti a decifrare la scrittura etrusca. Probabilmente qualcuno avrà capito che bevevano Ortrugo del Casale. No! Bevevano e basta!
Parliamo di cose serie: all’epoca dell’impero, un ettaro di vigneto italico poteva produrre anche 150 quintali d’uva; una quantità di molto superiore a quella delle vigne greche, coltivate con mezzi più arcaici. Questo causò, in breve tempo, il crollo del mercato dei vini greci; con grande disperazione dei greci stessi, che ne fecero una tragedia. Inoltre, con l’espansione dell’impero romano nelle provincie della Gallia, la coltura si diffuse anche oltre i confini italici. Qui nelle zone della Provenza, della Gallia Narbonese e nella zona nota come Cote du Rhone, si producevano vini, che però non godevano di buona fama e si diceva fossero adulterati con fumo ed erbe.
Nel II secolo d.C. nacquero i vigneti della Cote d’Or, il cuore dei futuri grandi vini di Borgogna.
Tornando in terra italica, come citano alcuni tra i più noti poeti e frequentatori d’osterie del tempo, quali Orazio, il ragazzo che abbiamo incontrato all’inizio, Virgilio e Marziale, i vini più prestigiosi erano il Falerno e il Massico, provenienti dalla Campania settentrionale, il Cecubo del Lazio meridionale, il Mamertino siciliano, il Rhetico veneto e il vino d’Alba. Altri vini inferiori, ma molto apprezzati, erano quelli di Taranto, di Ancona e di Sezze

Continua….

Indice